Paolo Maggioni racconta il suo rapporto con gli ascensori
La calda estate del commissario Casablanca, edito da SEM Libri, è firmato dall’esordiente, ma non lo si direbbe, Paolo Maggioni.
Giuliano Casablanca, detto Ginko, è un commissario da poco trasferito dalla Omicidi all’Ufficio Passaporti di una Milano che recita un ruolo comprimario con le sue mille sfaccettature, con il suo alternarsi tra il mondo di sotto e quello di sopra. Casablanca si ritrova a indagare sulla morte di un giovane maliano, avvenuta sul tetto di un treno mentre inseguiva un sogno di riscatto, la sua personale rivoluzione. Non è un libro sul dramma dell’immigrazione e sui problemi sociali di questo nostro vivere, non è un noir, non è un romanzo sull’amore e sull’amicizia. È tutto questo e molto altro, ma sempre con ironia e umanità. Tanti i personaggi, tutti ben tratteggiati e soprattutto “giusti”, tra gli altri anche un poliziotto travestito da ascensorista. Ne parliamo con lo scrittore e giornalista Paolo Maggioni.
Nel corso delle indagini, durante l’operazione “Allegria”, Casablanca decide di servirsi di una finta ditta di ascensori. Come nasce questa scelta?
Per infiltrarsi e per posizionare cimici per le intercettazioni ambientali, gli investigatori fanno spesso ricorso a dei camuffamenti. Il travestimento da ascensorista mi piaceva molto. Tra l’altro l’operazione si svolge in piazza “Allegria”, tra le torri del Gratosoglio, dove gli ascensori sono spesso guasti. Il protagonista sotto copertura è Panettone, uno dei componenti di questa squadra un po’ bizzarra guidata dal commissario Casablanca, un signore un po’ sovrappeso che è stato trasferito all’Ufficio Passaporti perché è un buon posto dove continuare a lavorare dopo due infarti.
Ogni tanto il giornalista cede il passo allo scrittore?
Ogni tanto capita, da giornalista, di conoscere situazioni difficili come quelle delle case popolari dove gli interventi di manutenzione sono complicati e i servizi essenziali spesso sono a rischio. Ecco perché quando a blitz concluso, un’anziana signora intercetta Panettone, lo guarda come fosse un miraggio e confida fortemente nella possibilità che l’ascensore venga riparato.
I riferimenti al mondo ascensoristico, a cominciare dal nome della ditta applicato sulla fiancata del camion-regia da cui Casablanca guida le operazioni, e i termini utilizzati, che ricorrono nel linguaggio reale degli ascensoristi, rivelano una certa familiarità.
In realtà ho condotto una ricerca per non scrivere imprecisioni. La confidenza con questo tipo di linguaggio deriva anche dalla passione che nutro per l’architettura, in particolare per l’architettura sociale, e per la storia dell’arte. Una passione che ho ereditato da mia mamma, una meravigliosa architetta.
Nel libro c’è un’immagine davvero evocativa degli ascensori di un tempo, con “rarissime sedute in legno, arredi rossi in formica con quel profumo rassicurante di chiuso che hanno solo certi ascensori”.
Nel dopoguerra c’è stata veramente una grandissima attenzione allo spazio comune, e quindi anche all’ascensore che è il primo spazio condiviso di uno stabile, dove ci si incontra, ci si incrocia, magari qualche volta anche con un po’ di imbarazzo, per lo meno prima del Covid. Il libro fotografico “Entryways of Milan” di Taschen racconta proprio 140 portinerie di edifici privati firmate dai più celebri architetti del Novecento.
Moltissimi palazzi d’epoca sono serviti da ascensori raffinatissimi. Li trovo eleganti, funzionali, semplicemente meravigliosi.
C’è un ascensore a cui è più legato?
Assolutamente sì. È l’ascensore di Torre Branca, all’interno del Parco Sempione. È stata eretta negli anni Trenta in occasione della Triennale. Con i suoi quasi 110 metri ha rappresentato, molto prima che sorgessero i grattacieli di Porta Nuova e City Life, uno dei punti più alti della città, con una vista mozzafiato su Milano e uno straordinario skyline di montagne alle spalle.
Anni fa chi accoglieva i visitatori e li accompagnava durante il viaggio in ascensore era il signor Vittorio, un personaggio straordinario. Oltre ad avere una eccezionale capacità inclusiva, perché parlava solo milanese ma riusciva a farsi capire anche dai giapponesi, aveva un amore per quel luogo e per quel salottone sospeso che ho ritrovato molto raramente in altre persone. Poi il signor Vittorio è andato in pensione ma il suo ricordo mi accompagna sempre.
Pensa di utilizzare ancora l’ascensore nelle avventure del commissario Casablanca? Sta già pensando a un nuovo libro?
Per il momento sono molto preso dalla promozione di questo primo libro ma sicuramente Casablanca tornerà perché quando si riesce a dare corpo a dei personaggi che colpiscono, sono loro stessi che chiedono di vivere. Non so se farò riferimento ancora agli ascensori ma di certo è un mondo che mi affascina.